La risposta del governo all’interrogazione dell’on.le Melandri sull'”iniquo compenso”, ma che c’azzecca ?

febbraio 26, 2010 alle 2:09 PM | Pubblicato su - Equo Compenso, CONSUMATORI, DIRITTO, PROPRIET INTELLETTUALE | 3 commenti
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Ecco, ho trovato la risposta del governo all’interrogazione dell’on.le Melandri sull’iniquo compenso di cui parlavamo ieri, la trovate qui a pagina 56 e 57 e … non possono che cadermi le braccia.

Dunque, innanzitutto a rispondere è il sottosegretario Francesco Maria Giro  che però cita un precedente intervento in Aula del Ministro Bondi a seguito di analoga interrgogazione (quando ho tempo me la vado a cercare), ci sarebbero molte cose da commentare, inesattezze, imprecisioni, assurdità ma ho poco tempo a disposizione e quindi mi focalizzerò su due aspetti, rinviando ancora una volta per il resto al nostro esposto alla Commissione europea

Tra le altre cose il Sottosegretario dice

Ciò premesso, voglio precisare che il predetto compenso non è da considerare come una tassa incamerata dallo Stato, ma un compenso che va a soggetti privati con il quale s’intende riconoscere quanto dovuto ai creatori delle opere dell’ingegno per il mancato acquisto dei supporti originali contenenti brani musicali, film e opere delle arti visive.

 Cionondimeno appare evidente come l'”iniquo compenso” abbia natura tributaria. In effetti, uno degli aspetti più peculiari dell’atteggiamento mantenuto dalla SIAE e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nell’ambito dell’acceso dibattito che ha fatto seguito alla notizia della pubblicazione del Decreto Bondi è stato il puntiglio con il quale hanno difeso all’unisono la tesi secondo la quale l’”iniquo compenso” non sarebbe una tassa. Ora, essendo venuta meno – proprio a causa del Decreto Bondi – ogni ultima residua parvenza di legame tra la reale effettuazione della copia privata da parte del consumatore, il danno conseguentemente causato ai detentori dei diritti e l’”equo compenso” imposto su una moltitudine di devices, pare difficile continuare a sostenere che non siamo di fronte ad una tassa nel senso più ampio del termine o, per essere più precisi, ad una prestazione patrimoniale imposta del tutto simile ad altre ben note fattispecie quali il canone RAI, la TARSU o, per rimanere in ambito SIAE, al famigerato contrassegno, o bollino. 

Poco importa, peraltro, il nomen juris prescelto, il legislatore italiano così come, nel caso di specie, quello comunitario hanno dato ampia prova di grande fantasia – contributo, compenso, tariffa, canone etc – ma ormai da anni la giurisprudenza consolidata della Cassazione e della Corte Costituzionale badando fortunatamente più al sodo ha spiegato a chiare lettere che per identificare come tributo un obbligo imposto dallo Stato occorre valutare, nel merito, se sussiste il carattere coattivo, ovvero se il soggetto passivo dell’imposta sia libero di scegliere se versarla o meno.

 Si badi bene, accertare se l’”iniquo compenso” sia o meno una tassa non è questione di poco momento, il fatto che il Ministro e la SIAE abbiano dedicato particolare attenzione a questo tema e che, per converso, anche chi scrive lo stia facendo non discende – ritengo in entrambi i casi – dal puro gusto della polemica fine a sè stessa. Da questo aspetto scaturiscono, infatti, conseguenze giuridiche molto rilevanti. Uno è che l’iniquo compenso costituisce un aiuto di stato alla SIAE e all’industria dell’audiovisivo (materia oggetto della segnalazione di Altroconsumo alla Commissione europea, l’altro è il molto probabile sforamento della riserva di legge in materia tributaria da parte del Decreto Bondi.

L’altro punto è questo:

 Voglio infine ribadire quanto già detto dal Ministro Bondi in Aula Senato e, cioè, che il tema della pirateria, soprattutto digitale, è attualissimo in tutti i Paesi del mondo. L’evoluzione tecnologica, che pure ha rappresentato e rappresenta un importante strumento di crescita e di diffusione della cultura e della democrazia, ha consentito al singolo utente privato la possibilità di violare le norme nazionali ed internazionali sul diritto d’autore. Tutto ciò, nonostante le aziende produttrici di contenuti digitali abbiano sempre più spesso fatto ricorso a sistemi di anticopia e antiaccesso che, in un modo o nell’altro, sono stati purtroppo spesso oggetto – come sappiamo – di violazioni. Per adeguarsi allo sviluppo tecnologico e alla mutata realtà della società dell’informazione, senza per questo voler porre ostacoli o limiti alle potenzialità di diffusione della conoscenza offerte dalla rete, è necessario non solo aggiornare l’attuale legislazione nazionale, comunitaria e internazionale, ma anche sviluppare forme di collaborazione fra tutti i soggetti interessati. Sulla base di quanto esposto si può, pertanto affermare, che il decreto Ministeriale in argomento, oltre a garantire un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di produttori e degli utenti del settore, rappresenta un valido strumento di tutela delle opere letterarie, artistiche e scientifiche che si prefigge l’obiettivo di proteggere la cultura e lo spirito creativo dell’uomo per consentire ai creatori, interpreti o esecutori delle opere d’arte di proseguire la propria attività e preservare la loro autonomia e dignità anche professionale.

Ma che c’azzecca la pirateria con l’”iniquo compenso”? Pare opportuno rammentare ancora una volta che l’”iniquo compenso” per copia privata non ha nulla a che fare con la c.d. pirateria, non è cioè in alcun modo finalizzato dalla disciplina vigente ad indennizzare gli aventi diritto dall’effettuazione di copie illecite, in quanto tali anche penalmente sanzionabili, ma ha l’esclusiva funzione di compensare i titolari del danno subito per le copie private legittime. Nonostante il dettato normativo sia dunque chiaro, continua, invece, a rimanere erroneamente nell’immaginario dei non addetti ai lavori ma, purtroppo, anche nel retrocranio del legislatore e della SIAE l’idea che una giustificazione sostanziale all’allargamento della portata dell’equo compenso starebbe anche e soprattutto nei pretesi ingenti danni, in termini di mancati guadagni, arrecati agli aventi diritto dalla c.d. pirateria. D’altra parte, per converso, c’è chi, tra gli amanti del p2p, altrettanto erroneamente, ritiene che, a fronte del pagamento dell’odioso “equo compenso” deriverebbe una sostanzialmente legittimazione a scaricare e condividere file protetti da diritto d’autore.

 Qui mi fermo ma ci sarebbe tanto altro da dire, e mi riprometto di farlo a breve

Brava la Melandri!: interrogazione sull'”iniquo compenso”, vediamo se e cosa ha risposto Bondi (update)

febbraio 25, 2010 alle 5:10 PM | Pubblicato su - Equo Compenso, CONSUMATORI, DIRITTO, PROPRIET INTELLETTUALE | 1 commento
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Molti mi chiedono cosa stia succedendo a seguito del ricorso di Altroconsumo alla Commissione europea contro il decreto Bondi, vi posso confermare che a Bruxelles c’è interesse per la questione che abbiamo aperto, ma queste cose purtroppo spesso hanno tempi più lunghi di quanto non ci si aspetti.

Sul piano tutto italiano c’è invece una novità. L’on.le Melandri ha presentato un’interrogazione parlamentare e domani mattina il Ministro Bondi sarà chiamato a rispondere in Commissione Cultura: sorry avevo cannato la data la risposta in Commssione Cultura del Ministro era programmata per oggi, ma non riesco a sapere ancora come è andata

Domani mattina, alle 9.00, in Commissione Cultura il Governo risponderà ad una mia interrogazione sul c.d. ‘”equo compenso per i prodotti tecnologici”. Il Ministro Bondi, con proprio decreto del 30 dicembre 2009, ha ridefinito il “compenso per copia privata” dovuto agli autori ed ai titolari di proprietà intellettuale di video e musica, da parte chiunque li riproduca, anche privatamente. Con questo decreto, oltre a ridefinire le misure del compenso, l’obbligo di versarlo si estende agli utilizzatori di qualunque strumento tecnologico in grado di riprodurre tali tracce. Nell’epoca dei telefoni cellulari e delle chiavette USB siamo di fronte ad un mare magnum! Cosa ha previsto di fare il Governo per evitare che il costo dell’”equo compenso” ricada, in ultimo, sugli utilizzatori finali di prodotti tecnologici? Le conseguenze sarebbero assurde: o caricare cittadini e famiglie di un ulteriore spesa, o costringerli a non avvalersi di prodotti tecnologici.
Aspettiamo la risposta di Bondi domani.

Il testo dell’interrogazione lo trovate qui, brava dunque alla Melandri! secondo voi Bondi risponde? ha risposto ?

Ricordo che qualche giorno fa mi hanno intervistato a Radio24 sulla questione dell’equo compenso, avevano chiamato anche Bondi a dire la sua, ma il ministro aveva declinato l’invito del buon Pagliarini. Ora chiamato in parlamento a rendere conto di un decreto che porta il suo nome spero che non voglia tirarsi indietro ma se risponderà, cosa mai potrà dire ?!!? ma se ha risposto, cosa mai avrà potuto dire ?!!?? vediamo chi scopre prima come è andata, please se trovate qualcosa postate un commento.

On.le Melandri se passa di qui ci fa sapere ? grazie

Vividown vs Google – ribadisco: la Rete non deve diventare una televisione

febbraio 25, 2010 alle 1:28 am | Pubblicato su - TV vs Internet: ci fai o ci sei ? un pò ci fai ... un pò ci sei, CONSUMATORI, DIRITTO, INTERNET | 8 commenti
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Torno sulla sentenza di cui ieri si è discusso molto e non solo in Rete, tra gli altri ho letto i commenti di De Biase  Mantellini Stefano con più post  e Guido .

Nel mio precedente post avevo scritto che 

Bisognerà leggere le motivazioni certo, ma l’impressione è che stia crollando di fatto la tenuta della direttiva 200/31/CE sul commercio elettronico e si rischia di introdurre per via giudiziaria una sorta di responsabilità oggettiva degli intermediari della Rete.

Ora, se è pur vero che, come ormai appare accertato, la condanna verte sull’illecito trattamento di dati personali e non direttamente sulla responsabilità dell’intermediario alla fine il primo aspetto si riverbera sul secondo e quindi penso sia opportuno ribadire che la Rete non deve diventare una televisione.

Escludendo, infatti – come voglio ben sperare – che tutto si riduca al fatto che nelle condizioni generali di Google non c’era o era carente l’informativa all’utente circa la necessità di acquisire il consenso del terzo ripreso prima di caricare il video – considerato che vi erano dati sensibili – perchè se così fosse saremmo di fronte ad uno di quegli inutili formalismi che invece di elevare la tutela della privacy ne fanno scadere ogni sostanziale percezione tra i comuni mortali (non avvocati), rimane l’ipotesi che la responsabilità di Google derivi dalla omessa richiesta di autorizzazione al Garante.

Questo non può dunque che riportarci direttamente all’ipotesi che il tribunale di Milano abbia di fatto interpretato l’assenza di obbligo di vigilanza in capo agli intermediari prevista dalla normativa sul commercio elettronico in modo peculiare, in quanto è di fatto impossibile per un ugc provider valutare l’eventuale sussitenza di dati sensibili nei video caricati dagli utenti.

In realtà rimane un’ultima possibilità, e cioè che il Tribunale abbia accertato che Google non ha effettuato il take down in tempi adeguati, se è su questo che si basa la condanna non avrei nulla da accepire, per questo attendiamo le motivazioni ._

PS: non ho mai scritto finora che considero assolutamente deprecabile l’episodio di bullismo di cui è stato vittima il ragazzo disabile, lo davo per scontato ma è bene non farlo così come è bene focalizzarci sui comportamenti responsabili che tutti noi dovremmo tenere anche in Rete se vogliamo che continui ad essere libera e democratica.

Caso Vividown: condannati tre dirigenti di Google !!! – La Rete non deve diventare una televisione, parliamone please…

febbraio 24, 2010 alle 10:50 am | Pubblicato su - TV vs Internet: ci fai o ci sei ? un pò ci fai ... un pò ci sei, DIRITTO, INTERNET | 10 commenti
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leggo sul Corriere.it :

Il tribunale di Milano ha condannato tre dirigenti di Google accusati di diffamazione e violazione della privacy per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione sul motore di ricerca di un video che mostrava un minore affetto da sindrome di Down insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. A tre imputati sono state inflitti sei mesi di reclusione. Un quarto dirigente che era imputato è stato assolto.

Questo uno dei primi commenti del procuratore aggiunto Alfredo Robledo:

«Finalmente -aggiunge il magistrato- si è detta una parola chiara. Al centro di questo procedimento era la tutela della persona attraverso, appunto, la tutela della privacy. Il resto è un fatto fenomenico. Sono certo che questa sentenza uscirá dall’aula del tribunale di Milano e farà finalmente discutere su un tema che è fondamentale».

E certo che questa sentenza farà discutere, non so se ne siamo tutti coscienti ma siamo a un punto di svolta per il futuro di Internet nel nostro Paese. Bisognerà leggere le motivazioni certo, ma l’impressione è che stia crollando di fatto la tenuta della direttiva 200/31/CE sul commercio elettronico e si rischia di introdurre per via giudiziaria una sorta di responsabilità oggettiva degli intermediari della Rete.

La Rete diventerà come la tv ? questo è quello che molti vorrebbero … a mio avviso ci perderemmo tutti, Internet non può, non deve diventare una televisione per le ragioni che avevo espresso nel video che potete vedere qui qualche tempo fa http://www.youtube.com/watch?v=qdOjKQkJV8k

un piccolo approfondimento qui sopra

La rete in rame è costipata, serve la fibra, ma attenti ad opere tombali in attesa di resurrezione

febbraio 23, 2010 alle 2:38 PM | Pubblicato su CONSUMATORI, DIRITTO, INTERNET, TELECOMUNICAZIONI | Lascia un commento
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Oggi sono stato alla presentazione della Relazione Annuale dell’Organo di Vigilanza per la parità d’accesso sulla rete fissa, il board istituito a seguito degli impegni presi da Telecom italia con Open Access e presieduto da Giulio Napolitano.

Napolitano junior (sì è il figlio del Presidente della repubblica) ha detto che non vi sono state palesi violazioni degli impegni da parte di Telecom Italia anche se in molti casi si è ritenuto opportuno suggerire all’ex monopolista di introdurre miglioramenti nelle procedure nell’interesse di un mercato competitivo e dei consumatori. Il 2010 sarà cruciale per verificare se, al di là del loro formale rispetto, gli impegni presi da Telecom avranno una concreta efficacia sul sistema italiano delle tlc, questo anche e soprattutto in chiave dell’atteso sviluppo delle reti di nuova generazione.

E’ proprio sulle reti di nuova generazione in fibra che si è poi focalizzato il dibattito, con l’amministratore delegato di Telecom Italia Bernabè che, dopo aver mostrato, senza mezzi termini, risentimento per le accuse circa la scarsa qualità e performance della rete di accesso provenienti da operatori alternativi che per lungo tempo hanno beneficiato e continuano a beneficiare di essa senza avervi investito nulla (ma, mi chiedo, comunque glie la pagano no ?)  si è detto disponibile e aperto a collaborare per le reti di nuova generazione con altri soggetti operanti nelle tlc italiane che, appartenendo a gruppi multinazionali hanno capacità di investimento almeno pari a quelle di Telecom Italia (quello che fa la differenza è forse il loro meno rilevante debito).

Su una cosa Bernabè però non transige, le scelte di investimento di Telecom Italia non debbono essere influenzate da soggetti che non partecipano agli investimenti.

Mi è sembrato rilevante quanto ha poi detto Bianca Maria Martinelli (Vodafone), gli impegni di Telecom Italia devono funzionare, è importante che la parità di accesso sia garantita sulla rete in rame ma la priorità oggi deve essere quella di accelerare sulla rete di nuova generazione, il modello per una ngn competitiva e aperta è quello della società della rete, la vera soluzione per implementare una rete in fibra al servizio di tutti.

Ha concluso il presidente di AGCOM Calabrò confermando che urge pensare all’implementazione della fibra, almeno in alcune aree del Paese, già oggi nelle zone ad alta densità di traffico, infatti, la rete in rame non regge, è “costipata” ! Mi è sembrato implicito, comunque, il suo riferimento alla necessità di un piano nazionale perchè nel commentare alcune esperienze di posa di fibra da parte di amministrazioni locali ha detto chi si tratta di iniziative tanto meritorie quanto probabilmente inutili nel caso in cui non si coinvolgano adeguatamente gli operatori, la fibra in questi casi rimane lì morta, quindi, testuale, si tratta di “opere tombali o quanto meno in attesa di risurrezione” !

Dibattito interessante ma aihmè non c’era nessun rappresentante del governo e i conti senza l’oste  … non tornano mai

Cambiare operatore telefonico: dal gioco del Monopoli delle tlc a quello dei telefoni senza filo (update)

febbraio 19, 2010 alle 12:20 PM | Pubblicato su - Portabilità, CONSUMATORI, DIRITTO, TELECOMUNICAZIONI | Lascia un commento
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Altroconsumo torna a sollecitare l’Agcom sul pin della discordia  in modo che, in vista della sua imminente entrata in vigore il prossimo 1 marzo, si eviti almeno di penalizzare oltremodo la libertà di scelta degli utenti e di bloccare la concorrenza nel mercato della telefonia fissa. 

In che cosa consiste?
Entra infatti in vigore la nuova procedura per trasferire il proprio numero da un operatore telefonico a un altro: la Delibera prevede che l’utente debba richiedere al vecchio operatore un numero di codice; numero che poi dovrà comunicare al nuovo operatore per rendere operativo il passaggio. Il rischio è che il codice segreto, lungi dall’essere una valida misura per contrastare il fenomeno dei servizi non richiesti (motivo per cui è stato introdotto), diventi uno strumento utilizzato dagli operatori per impedire o rendere estremamente complicato il passaggio dei loro clienti verso un altro operatore.

Trovate qui la lettera inviata ieri al Garante. C’è ancora margine per evitare l’asssurdo passaggio dal gioco del Monopoli delle tlc a quello dei telefoni senza filo, l’Autorità può impedire che gli operatori donating utilizzino strumentalmente il nuovo pin per porre in essere azioni ostruzionistiche volte ad ostacolare il trasferimento delle utenze verso altri operatori attraverso due accorgimenti:

a) il consumatore deve essere considerato proprietario del pin stesso;

b) l’operatore non deve poter cambiare il pin ogni 15 giorni (motivando eventualmente la cosa per questioni di sicurezza), in tal modo il consumatore sarebbe infatti costretto a contattare il call center dell’operatore che vuole lasciare per richiedere il pin “aggiornato” e sarebbe quindi sottoposto a molto probabili operazioni di retention.

In realtà sarebbe stato molto meglio introdurre un soggetto terzo e imparziale (poteva anche farlo l’Agcom) che al momento del passaggio da un operatore all’altro contattasse il consumatore per verificare la sua effettiva volontà di switching, ma questa partita purtroppo sembra ormai essere persa ._

S.I.A.E.: Società Italiana Arcigni Esattori ?

febbraio 18, 2010 alle 3:28 PM | Pubblicato su DIRITTO, PROPRIET INTELLETTUALE | 2 commenti
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Sul proprio sito SIAE annuncia in pompa magna un accordo con l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) volto a rendere ancora più efficace la lotta all’utilizzo illegale degli apparecchi da divertimento e intrattenimento.  Stefano Quintarelli sul suo blog si chiede La SIAE controlla i videopoker: che c’azzecca ?

 

In pratica, da quanto capisco, la SIAE ha firmato un accordo con i monopoli per andare a controllare le macchinette da gioco nei bar, grazie alla sua presenza capillare in Italia.
La cosa non ha nulla a che vedere con la tutela di Autori ed Editori, evidentemente lo Statuto lo consente. Il ricavato, immagino, andra’ diviso tra autori ed editori.
Domani potrebbero fare un accordo con una assicurazione per fare le foto degli incidenti, o per verificare i certificati di revisione delle caldaie..
 

Pare opportuno ricordare che l’accordo con l’AAMS fa seguito, a distanza di una sola settimana, a quello siglato sempre da SIAE con l’INPS 

L’Inps e la Siae hanno sottoscritto una nuova convenzione per dare vita ad un’azione integrata di vigilanza nella lotta al lavoro sommerso e all’evasione contributiva.
La convenzione, che prevede una durata triennale, consentirà, attraverso le strutture della Siae, di operare controlli in orari e in giorni, particolarmente quelli festivi, serali e notturni, nei quali normalmente è più difficile l’attività degli ispettori dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, nelle aziende abitualmente visitate dagli ispettori Siae … 

Ora, come ha avuto modo di puntualizzare recentemente anche l’interessantissima indagine conoscitiva dell’AGCOM sul diritto d’autore e le reti di comunicazione elettronica

Dalla breve ricostruzione della natura e dei poteri della SIAE … emerge con tutta evidenza come il core delle funzioni attribuite istituzionalmente all’ente sia costituito principalmente dall’attività, di natura privatistica, di intermediazione nell’utilizzazione economica delle opere protette da copyright. 

Certo, non molti lo sanno, ma nel suo Statuto è anche previsto alla lettera d) dell’articolo 1 comma 2 che la SIAE gestisce i servizi di accertamento e riscossione di imposte, contributi e diritti anche in base a convenzioni con pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali, e altri enti pubblici o privati, rimae tuttavia evidente che questo tipo di attività dovrebbe rimanere del tutto marginale rispetto al core business di SIAE. 

In un commento al post di Stefano Quintarelli si legge:

forse in previsione di una inevitabile (il problema è quando) eliminazione delle società collettive di gestione dei diritti d’autore nazionali da parte del mercato e/o del regolatore europeo stanno “differenziando” il business. il che è lodevole da parte loro. mettono in campo il loro asset che è diventato la presenza capillare, la rete di conoscenze di locali e gestori.
che inizino a non credere più nemmeno loro che il loro compito di rappresentanti degli autori ed editori abbia ancora molto senso?
…il fisique du role per ispezioni e controlli peraltro l’hanno sempre avuto

Che dire? Non intendo aggiungere altro al momento … e voi che ne pensate ?

Altrinteressi ?! sì è vero: in questo caso oltre agli interessi dei consumatori Altroconsumo ha tutelato l’interesse generale

febbraio 15, 2010 alle 7:47 am | Pubblicato su - Equo Compenso, CONSUMATORI, DIRITTO, PROPRIET INTELLETTUALE | 4 commenti
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Leggo questo strampalato comunicato sul sito della SIAE messo in bocca a 8 più o meno note sigle di autori ed editori.

Vedo che Guido Scorza ha già commentato e messo qualche puntino sulle i e lo ringrazio. Ora, sulla questione del Decreto Bondi e dell’iniquo compenso ho già scritto tanto in questo blog, come sapete Altroconsumo ha preso una decisione importante e coraggiosa denunciando la SIAE alla Commissione europea per aiuti di Stato e abuso di posizione dominante.

Ci siamo rivolti alla Commissione europea perchè su questioni di questo tipo purtroppo non se ne viene a capo presso Autorità e Tribunali italiani. Rispetto alle bieche accuse degli 8 moschettieri, come li chiama Guido Scorza !, deciderà collegialmente Altroconsumo se e come rispondere, a titolo personale  voglio dire però una cosa: proprio grazie ad azioni, decisioni e prese di posizione di questo tipo mi sento orgoglioso di lavorare per Altroconsumo.

Infatti, per uno scherzo del destino, gli 8 moschettieri con il giochino di parole Altroconsumo = Altrinteressi in maniera assolutamente involontaria hanno in realtà centrato la questione, con la sua azione Altroconsumo tutela indubbiamente l’interesse dei consumatori, cosa che coincide nel caso di specie con l’interesse generale ad uno sviluppo moderno, equo e sostenibile del mercato dei contenuti digitali.

Certo, chi è tutto concentrato a tutelare invece il proprio interesse particolare anche a costo di risultare una zavorra ormai assurda ed obsoleta per lo sviluppo del Paese, fa probabilmente difficoltà a comprendere una cosa del genere.

Alla fine, al di là delle parole più o meno al vento e delle sterili invettive contano i fatti, e nel corposo esposto inviato alla Commissione europea che trovate qui    di fatti e di solide argomentazioni giuridiche ne troverete ad abundantiam: buona lettura !

In Rete non tutto è lecito: sono assolutamente d’accordo con FAPAV

febbraio 12, 2010 alle 11:26 PM | Pubblicato su - Fapav, CONSUMATORI, DIRITTO, INTERNET, PROPRIET INTELLETTUALE, TELECOMUNICAZIONI | 2 commenti
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Come scrivevo qualche giorno fa in merito al caso FAPAV vs Telecom:

A volte si promuove una causa e poi in giudizio si è invece costretti a difendersi, a volte si entra in un Tribunale civile e si finisce in Procura, sono cose che capitano, questo potrebbe essere il caso di FAPAV anche perchè delle due l’una, o nei suoi atti ha dichiarato il falso, e vabbè capita se mossi dal sacro ardore della tutela dei diritti ! oppure, e questo sarebbe più grave, ha detto il vero…

Purtroppo non si è ancora completamente svelato l’arcano, l’impressione è che siamo solo alle prime schermaglie, nel frattempo il Garante Privacy è intervenuto nel giudizio e si sta interessando della questione  anche Altroconsumo gli aveva chiesto di farlo  e, proprio nella risposta inviata alla richiesta di chiarimenti del Garante pare che Fapav abbia già cominciato a calare le braghe, almeno sull’aspetto che, se confermato, sarebbe stato il più grave, si legge qui, infatti, tra le altre cose, che

 FAPAV non ha ottenuto e non può ottenere alcuna corrispondenza tra le URL delle pagine web citate e l’attività telematica degli internauti italiani, poiché soltanto l’ISP può fornire questo tipo di informazioni circa l’attività dei suoi abbonati.

Ora, a parte che neanche gli ISP sono legittimati a farlo e che chiunque avesse dati di questo genere non potrebbe che averli ottenuti attraverso comportamenti gravemente illeciti e sanzionabili penalmente, resta il fatto che, da quanto riportavano i giornali, nel ricorso presentato al Tribunale FAPAV asseriva di conoscere anche su quali siti avevano navigato gli utenti monitorati, vabbè FAPAV ci dice adesso che era tutto uno scherzo, sarebbe però utile che il Garante confermasse che di scherzo si tratta e che nessuno ha violato il domicilio informatico di numerosissimi utenti e inserito malware nei loro pc. Attendiamo fiduciosi di avere una tale conferma._

C’è poi un altro aspetto, meno grave forse, ma mica tanto, quello dell”‘investigazione”, vogliamo chiamarla così ? sul p2p:

a quanto consta, alcuni associati FAPAV hanno fatto ricorso ad una società specializzata nella protezione dei diritti d’autore, incaricata di fornire statistiche dei download a partire dai cosiddetti “fake” (o “files decoy”, file che contengono il trailer di un film ripetuto in serie) diffusi da territorio straniero nelle reti peer-to-peer per simulare i file di opere protette dal diritto d’autore. Lo strumento utilizzato altro non è che una versione del software open source eMule,  modificato in modo da visualizzare la ripartizione dei download per ISP.

Non mi dilungo su questo punto e rinvio ai primi commenti di Stefano Quintarelli, mi limito ad aggiungere che anche qui vorrei essere confortato dal Garante al più presto sul fatto che non ci sia stata alcuna violazione dei dati personali degli utenti perchè, insomma, su questa fantomatica istantanea anonimizzazione degli IP attraverso un procedimento rapido ed immediato  allo stato mantengo, come dire, qualche piccolo scetticismo.

Critico da tempo la politica delle major e ancora di più le Istituzioni che si appiattiscono su di essa, ma non sono un fan del p2p, non mi sono mai appassionato alle sorti di Pirate Bay è, infatti, oltremodo triste che non si sia ancora trovata una modalità condivisa e legale per distribuire e condividere contenuti in Rete, se andiamo avanti di questo passo però rischiamo di giocarci qualcosa di più e di più grave. C’è, infatti, un problema di fondo in tutta questa storia di FAPAV che va alla base del principio di legalità, quandanche hai subito un danno, un torto, o perlomeno pensi che questo sia il caso, comunque non puoi pretendere di fare valere i tuoi diritti attraverso prove raccolte in maniera illecita e se lo fai devi essere punito severamente, questo a tutela della stabilità dell’Ordinamento.

In un comunicato di oggi FAPAV tra le altre cose asserisce:

Le infondate supposizioni  del Garante della privacy e il clamore che ne è conseguito  appaiono costituire un oggettivo incoraggiamento al fenomeno della pirateria – che costituisce un reato – e a rafforzare l’errato convincimento che sulla rete tutto è lecito, perché l’impunità per le eventuali malefatte è garantita dalla legge sulla privacy.

Condivido una cosa: è assolutamente errato il convincimento che in Rete tutto sia lecito e da quanto è emerso finora sembra proprio che FAPAV dovrebbe riflettere intensamente su questa verità anche e soprattutto per quanto riguarda i suoi stessi comportamenti.

SIAE e Tivù – Altroconsumo chiede l’intervento della Commissione europea su due bubboni italiani

febbraio 9, 2010 alle 2:52 PM | Pubblicato su - Equo Compenso, - Rai/Sky Tivù Sat, CONSUMATORI, DIRITTO, INTERNET, PROPRIET INTELLETTUALE, TV | 1 commento
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Dopo alcuni giorni di silenzio torno a bomba su due questioni ampiamente dibattute in questo blog: circa la prima, Rai, Mediaset, Tivù, in una sola parola: Raiset  era da un pò che non ne parlavamo, sulla seconda, il decreto SIAE/Bondi e l’iniquo compenso  ci eravamo, invece, lasciati recentemente su questo punto fermo: il Decreto Bondi è attaccabile sia a Bruxelles sia a Roma  

Ebbene, oggi Altroconsumo ha presentato due corposi ricorsi alla DG Concorrenza della Commissione europea su entrambi i bubboni, tutti italiani, vi rinvio al comunicato dell’associazione che trovate anche di seguito, avremo sicuramente modo di approfondire._

Aiuti di stato nell’operazione tivù e nel decreto Bondi sull’equo compenso. Altroconsumo ricorre alla Commissione europea

Si insedia la nuova Commissione UE, la Barroso II, e Altroconsumo augura buon lavoro al nuovo titolare della DG Concorrenza, Joaquin Almunia, presentando due ricorsi, tutti italiani: contro Tivù per concentrazione e aiuti di Stato e contro il decreto Bondi sull’equo compenso, sempre per aiuti di Stato e abuso di posizione dominante.

Il contesto in cui sono avvenute le due operazioni, distinte ma con effetti simili, è lo stesso, caratterizzato da dinamiche di accordi per privilegiare gli interessi di alcuni a danno dello sviluppo del mercato tecnologico, dei contenuti e di programmi di qualità, con consolidamento di posizioni già esistenti.

Con la creazione della joint venture Tivù, Telecom Italia media, RTI e RAI hanno realizzato una concentrazione di dimensione comunitaria, che tuttavia non è stata notificata alla Commissione europea. Le conseguenze saranno ingessare ulteriormente il mercato pubblicitario televisivo già oggi caratterizzato da un’elevata concentrazione. Dinamiche collusive, a tutto vantaggio del potere di mercato delle imprese coinvolte, contro eventuali competitor. Tutto ciò a discapito di incentivi verso lo studio e la realizzazione di programmi di qualità, innovativi, aperti al confronto e alla sperimentazione.

Criptando i programmi con un protocollo di codifica incompatibile con quello del decoder Sky, Rai e RTI hanno in pratica reso inaccessibile la propria programmazione generalista sulla piattaforma Sky in lesione delle regole della concorrenza (Articolo 101 del Trattato). Risultato: circa 5 millioni di utenti Sky non potranno ricevere programmi free-to-air e di servizio pubblico. Ma la RAI, proprio per assolvere al ruolo di servizio pubblico, beneficia del canone di abbonamento, un aiuto di Stato giudicato dalla Commissione compatibile con la natura del servizio erogato. Sino alla creazione di Tivù.

Con il decreto Bondi sull’equo compenso è stato esteso il prelievo da parte della SIAE di una quota di prezzo destinato a remunerare gli autori per la copia privata (prima previsto solo su CD, DVD vergini e masterizzatori) a tutti i dispositivi dotati di memoria, come telefoni cellulari, decoder, console di videogiochi. Secondo Altroconsumo si tratta di una tassa iniqua, in concreto aiuti di Stato alla SIAE e all’industria dell’audiovisivo, con abuso di posizione dominante. E un’interferenza illegittima con il funzionamento del mercato interno UE.

Commissario Almunia, buon lavoro.

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